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(titolo, relatore, laureando)

Leudo "Fenice Manin" ipotesi di restauro e conservazione strutturale
Relatore: Prof. Arch. Silvio Van Riel
Correlatore/i: Gennaro Tampone - Dott. M. Paolo Semprini
Laureando/i: Matteo Cattaneo
Anno accademico: 2001/2002

Il leudo Felice Manin fu varato nel 1891 a S. Michele di Pagana, e più precisamente in località Trelo, dallo scalo del cantiere di Attilio Valle.

Secondo le indicazioni riportate nel Registro Navale del 1948 si tratta di una barca di 24,89 tonnellate di stazza lorda e 18,92 di netta, avente le seguenti dimensioni di stazza: m. 15,60 x 4,86 x 1,87.

Il leudo armava una vela latina di circa 200 metri quadri, inferita ad un’antenna accostata all’albero. La velatura era equilibrata con l’adozione di un fiocco o polaccone che era teso nella sua parte prodiera da un’asta sporgente fuori dallo scafo.

Dal 1891 al 1976 navigò come barca da carico in una vasta zona del Tirreno, toccando i porti di Ischia, dell’Elba, della Sicilia, della Sardegna ed anche dei porti francesi di Nizza e St. Raphael.

Le merci trasportate, di preferenza, erano formaggi, vini, conserve, pesce secco e salato, legumi, lana grezza, ed anche tessuti lavorati a mano successivamente dopo il recupero della barca.

Prospetti e sezione longitudinale lato destro

Prospetti e sezione longitudinale lato destro

 


La storia

Nel 1981, dopo un periodo di abbandono in un cantiere a Riva Trigoso, il leudo, che all’epoca portava il nome di  “Padre Carlo”, venne acquistato da Luigi Cappellini che, stimolato da alcuni appassionati, ne iniziò il restauro.

Ripreso il nome originario di “Felice Manin”, il leudo venne varato il 3 luglio 1982. Fino dall’epoca del varo si pensò ad una iniziativa che qualificasse anche culturalmente l’operazione di recupero del leudo, e a proposito, prese corpo l’idea di inserire concretamente il leudo nell’ambito delle iniziative colombiane che dovevano concludersi nel 1992, in occasione del quinto centenario della scoperta dell’America.

Il Felice Manin, che innalzava anche la bandiera dell’UNICEF, quale messaggero di pace, partì domenica 21 ottobre 1984 dalla darsena della Fiera di Genova.

Iniziò così l’altra grande avventura che portò il Felice Manin dallo scalo di S. Michele di Pagana, dove fu varato, fino a San Salvador, dove giunse dopo 50 giorni di navigazione il 30 gennaio 1985. Dal 1987 al 2000 il Felice Manin restò nuovamente in stato di abbandono in un cantiere a Chicago.

Il 20 maggio del 2000 dopo 480 giorni dalla fondazione dell’Associazione “Salviamo il leudo Felice Manin”, il leudo viene sbarcato sulla banchina del molo Fornelli di La Spezia. Attualmente la barca si trova nel capannone “Lance e Remi” dell’Arsenale Militare di La Spezia in attesa di fondi per il restauro. Le condizioni dello scafo richiedono un urgente intervento di restauro strutturale, l’applicazione di un nuovo motore e la completa ricostruzione dell’attrezzatura velica.

 

Il rilievo

Il rilievo di una imbarcazione d’epoca è una operazione abbastanza complessa ed inoltre nessun testo di architettura navale indica una metodologia di intervento, pertanto prima di iniziare il rilievo vero e proprio, ho studiato come poter procedere.

Uno scafo, generalmente, viene descritto attraverso un elaborato chiamato “Piano di costruzione”, nel quale si rappresentano le tre viste principali attraverso le sezioni che si avrebbero se lo si tagliasse fisicamente con piani paralleli.

Individuati gli elementi costitutivi del piano di costruzione cerchiamo ora di scoprire quali misure e quali modalità di rilievo sono necessarie per la sua restituzione grafica, che è stata da me eseguita con l’ausilio di programmi di grafica computerizzata (CAD).

L’operazione con cui ho, di fatto, iniziato il rilievo del Felice Manin è consistita nel tendere una lenza tra il punto della prua estrema e il punto più a poppa, dividendo così lo scafo in due parti. Calando un filo a piombo dagli estremi della lenza si riesce a conoscere la lunghezza della barca fuori tutto, che nel caso in esame è di 16 metri.

Tenendo come riferimento la mezzeria, ho proceduto a tagliare con dieci sezioni trasversali, che chiamerò “ordinate”, l’intera lunghezza dello scafo ed ho trovato, ortogonalmente alla lenza, i punti che segnano la terminazione dell’ordinata sul bordo della coperta. Con questi punti scopro le “semilarghezze” ossia le distanze tra la lenza di mezzeria e i punti di intersezione con il bordo.

Da questi punti rilevati sul bordo dello scafo, si cala il filo a piombo e si misura l’altezza da terra; ripetendo questa operazione per tutte le ordinate, si recupera così il profilo longitudinale dello scafo per il prospetto.

Queste sono le misure sufficienti per poter incominciare a costruire graficamente il piano di costruzione.

Trovate quindi le forme dello scafo del Felice Manin ho proceduto nel compiere il rilievo strutturale.

La struttura interamente lignea e più precisamente in legno di quercia, è principalmente composta da elementi longitudinali e elementi trasversali. I primi sono composti dalla chiglia, che termina a prua con il dritto di prua e a poppa con il dritto di poppa. I secondi composti invece dai bagli anch’essi, le quali teste sono incastrate nei dormienti, lunghe tavole che corrono sotto la coperta a contatto con il fasciame di carena, e le ordinate che fungono da scheletro strutturale. Il tutto è irrigidito dal fasciame di carena costruito in legno di pino e di iroko, e dal fasciame di coperta, composto, quest’ultimo da due strati di tavole, il primo in legno di pino e il secondo più esterno in legno di doussie.

L’ultima fase del rilievo è consistita nell’analizzare lo stato di degrado e dei dissesti presenti sul Felice Manin.

Questa operazione mi è servita per constatare le non buone condizioni di questo glorioso scafo. Il maggior dissesto rilevato è, principalmente nella zona poppiera-centrale, il cedimento dell’ incastro formato dalla testa dei bagli e i dormienti, il quale ha procurato un leggero allargamento trasversale della barca. Oltre a questo mancano numerosi corsi di fasciame di carena, dissesto dovuto al cedimento dei chiodi di collegamento con le ordinate.

Un altro elemento degradato è il dritto di poppa dove compaiono numerose marciscenze nel legname che lo compone.

 

Verifiche strutturali

La costruzione degli scafi tipo quello del leudo, relativi quindi ad un periodo storico che corre lungo tutto il 1800 e i primi del 1900, avveniva grazie all’opera di uomini chiamati “maestri d’ascia” che lavoravano in cantieri, se così si possono chiamare, non più grandi di una sola barca, ma che possedevano delle capacità manuali incredibili. Costruivano queste splendide e solidissime imbarcazioni, con cui i marinai liguri solcavano tutto il mare Mediterraneo, senza documentarsi in nessun testo, ma facendo fede solo alle informazioni ed ai consigli, custoditi segretamente, tramandati di padre in figlio.

Questa splendida tradizione, oramai scomparsa da diverse decine di anni, comportava, però, un sovradimensionamento della costruzione soprattutto per quanto riguarda le strutture soprattutto a causa della totale mancanza di verifiche, circostanza peraltro legittima considerando il periodo.

Ad oggi, nel il restauro di barche d’epoca non si fanno grandi verifiche strutturali, ci si basa sulle capacità del cantiere che effettua l’intervento; si fanno però delle verifiche dimensionali degli elementi strutturali, grazie all’aiuto delle informazioni che fornisce il Registro Navale Italiano, l’ente che controlla e verifica la navigabilità delle navi e delle barche.

E’ stata proprio questa attività che mi ha obbligato e, nel contempo, consentito di sviluppare un mio iter esplorativo e analitico, stante la assoluta mancanza di un metodo che potesse essere da me preso a riferimento. Con le dovute cautele ed umiltà posso comunque dire che, per questo aspetto, ho utilizzato un “mio metodo” consistente in una prima fase, peraltro usuale, di verifiche dimensionali degli elementi strutturali grazie all’aiuto delle tabelle presenti sul regolamento del registro navale, ed in una seconda fase, innovativa per le barche d’epoca, relativa ad uno studio statico sulle forme volumetriche della imbarcazione. In funzione queste forme, mi sono apprestato, con calcoli sperimentali a  studiare le resistenze all’avanzamento del Felice Manin.

 

Progetto di restauro del Felice Manin

Per quanto la risposta sia scontata per chiunque ami il mare, la vela e queste antiche “signore” del mare, è comunque necessario individuare alcune motivazioni peculiari al Felice Manin.

I motivi potrebbero essere tanti, ma possono essere fondamentalmente sintetizzati in questi due: anzitutto il Felice Manin è il più vecchio dei sei esemplari rimasti in vita, i quali rivestono un’importanza del tutto particolare rappresentando gli ultimi sopravvissuti del patrimonio marinaro, un tempo ricchissimo, della Liguria; inoltre, nessuno di questi leudi ha auto una storia gloriosa come quella del Felice Manin che vanta persino una traversata oceanica.

Da ultimo segnalo anche che la situazione attuale, per quanto riguarda il resto del nostro paese, non è diversa da quella relativa al Felice Manin: infatti nessun grande veliero mercantile di legno è rimasto in vita.

Si pensi ad esempio alla nave simbolo della marineria italiana, la Amerigo Vespucci, che è stata costruita negli anni trenta, come nave scuola militare, utilizzando il ferro e non in legno, come invece molti pensano.

Per quanto riguarda gli interventi di restauro si può dire con certezza che l’operazione più urgente è quella di ripristinare i cedimenti strutturali, restaurando quindi adeguatamente i bagli, gli elementi più in cattivo stato. Questa operazione consisterà, in primo luogo, nel sostituire le teste dei bagli con nuovi elementi lignei, ricostruendo l’incastro con i dormienti, e in seguito nell’irrigidimento di questi elementi grazie all’aiuto di tiranti che seguendone l’andamento eliminano la possibilità di cedimento trasversale.

Oltre a ciò si dovranno ricostruire i corsi di fasciame di carena mancanti.

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